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L’incanto della pittura. Impressioni su Caboni

Nunzia Mammella, napoletana e appassionata d’arte, ha avuto modo di vedere in anteprima le opere che saranno in esposizione al PAN – Palazzo delle arti di Napoli – dal 3 al 13 ottobre nel corso della mostra Qui la meta è partire. Leonardo Caboni a Napoli, dedicata all’artista romano.

Di seguito pubblichiamo il suo articolo con le impressioni suscitate a caldo dalla visione delle venti opere che saranno visionabili gratuitamente. [S]

 

“Un’atmosfera fiabesca e misteriosa, in bilico tra allucinazioni oniriche e realtà, sembra avvolgere l’intero percorso artistico del pittore romano.
Associazioni apparentemente casuali,  insolite nature morte che emergono dall’oscurità in una luce fredda, l’uso della tecnica dei “quadri nei quadri”, sono volti ad accentuare sensazioni di mistero, surrealismo, di suspense. La stessa meraviglia che suscitano le maestose montagne aride e desolate che celano allo sguardo la vista dell’orizzonte – poesia di luoghi perduti fra il ghiaccio e la neve – o la sovrastante imponenza di rinoceronti che occupano l’intero spazio, senza quasi lasciare margini vuoti.
Tempi antichi e moderni, aulico e quotidiano, sacralità e profanità, elementi che appartengono a differenti tradizioni e ambiti – mondo animato e inanimato – si mescolano costruendo scene incongruenti di fronte alle quali ci si sente disorientati. La totale assenza di movimento suscita inoltre l’impressione di un tempo che trascorre languido, fatto di ritmi lenti, dominato da un silenzio denso, palpabile, a volte persino opprimente.
Evidente la sua passione per i reperti archeologici, spesso però ridimensionati a statuetta e collocati fuori dal proprio contesto. Tale procedimento permette di mettere in connessione mondi simbolici distinti, ma invertendone il valore, in una sorta di svalutazione della portata storico-testimoniale di un passato alla base dell’identità di un popolo.
Molti di questi tratti ricordano senza dubbio il Metafisico Giorgio De Chirico, al quale egli stesso comunque ammette di ispirarsi. Tuttavia a differenza del maestro prevale in lui una forte minuzia nella descrizione realistica dei paesaggi, una grande attenzione ai dettagli e ai particolari anche più piccoli. Frequentemente sembra di scorgere quelle immagini come attraverso un obiettivo, nella riproduzione di inquadrature di evidenti suggestioni fotografiche, alla ricerca di paesaggi spettacolari, silenziosi e spettrali lontano dal dinamismo diurno.
Eppure la figura umana non è sprovvista di una vita interiore. Essa non compare come manichino, ma come soggetto schiavo di sensazioni vitali. Ecco allora che il realismo della scena si carica di spirito empatico rispecchiando la natura più profonda e segreta dell’animo umano: ne indaga i territori dell’inconscio, l’emozione,  l’angoscia, la noia, la melanconia, il dubbio.
Sentimenti, questi ultimi, che si riflettono anche nelle varie specie di uccelli e di animali che popolano i suoi dipinti, la cui costante presenza costituisce uno dei motivi più caratteristici del suo stile. Particolare predilezione per gatti e cani che, lungi dal coprire il ruolo di semplici elementi decorativi o simbolici, mantengono le proprie fattezze animalesche ma assumono quel non so che di tipicamente umano. L’accostamento tra condizione umana e condizione animale è tale che produce in noi una totale identificazione con esso, quando quest’ultimo è l’unica figura ad abitare il dipinto; posto in un angolo, invece, esso accompagna la figura umana condividendone in maniera complementare le affinità caratteriali. La separazione tra mondo animalesco e umano sfuma e si annulla oltre ogni conoscenza razionale, così come vengono ribaltate tutte le nostre abituali percezioni di fronte alle opere dell’artista romano.
Straniamento o meraviglia, terrore o angoscia, melanconia o consolazione: ad ognuno la propria reazione.”
NM

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